Sono passati ben 30 anni dalla strage di Capaci, il 23 maggio 1992 è una data che nessuno potrà mai dimenticare, il ricordo di quel giorno, in cui vennero trucidati il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli uomini della scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, rimarrà sempre scolpito nella memoria di tutti quanti, un ricordo indelebile che ha segnato per sempre le nostre coscienze. Sarà necessario tenere sempre vivo il ricordo di chi ha sacrificato la propria vita per il bene comune, un ricordo però che non deve essere intriso di ipocrisia e di falsa retorica antimafia; per onorare veramente la memoria di questo sacrificio serve ben altro, serve l’onestà intellettuale di pensare e di agire sempre in verità e giustizia, serve togliersi, anzi, disfarsi definitivamente delle mille maschere che ogni giorno l’uomo fa uso per coltivare i propri interessi e gli interessi degli amici degli amici.

Fino a quando il ricordo rimarrà solo un totem, utile a coltivare solo l’apparenza e non l’essere, non riusciremo concretamente a fare passi in avanti in direzione del reale cambiamento della nostra società, serve impegno quotidiano, serve cura delle parole, che non devono essere usate per esaltare qualcosa che poi non viene praticato nel quotidiano vivere, le parole sono come pietre e vanno usate in piena coscienza, perché dalle parole deve poi scaturire l’agire concreto di ciò che si dice.

Ecco perché, quando si usa la parola sacrificio in riferimento ai martiri della strage di Capaci, bisognerebbe ricordarsi che la parola sacrificio deriva dal latino “sacrum facere” e cioè compiere un atto sacro, e un atto sacro, come quello compiuto dal giudice Giovanni Falcone, dalla moglie Francesca Morvillo, e dagli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, non può e non deve essere ricordato con falsa oratoria, ma al contrario deve assurgere da esempio nella costruzione di relazioni sociali improntate alla verità e alla giustizia

LA SEGRETERIA NAZIONALE USIP

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